Abbiamo tratto il titolo della nostra ricerca da una delle possibili origini del nome della città di Venosa (Venosa a venis aquarum, cfr G. Cenna; A. Cappellano) con l’auspicio che i luoghi e le opere dell’acquedotto, ancora presenti e scampate alla distruzione, possano essere adeguatamente tutelate, conosciute e valorizzate.
Il territorio venosino (Basilicata), abitato sin dalla Quaternario (Notarchirico, Loreto, Sanzanello, etc), nel Neolitico cominciò ad essere frequentato da comunità stabili che si insediarono lungo le sponde del bacino lacustre. Dal VII secolo a. C. , i popoli di lingua greca e osca erano dediti prevalentemente alla pastorizia, esercitata nella forma di transumanza nei pascoli della Murgia, della valle del Bradano e delle montagne dell’Appennino Lucano.
Con l’interesse di Roma per l’Oriente, il territorio di Venosa divenne strategico. Esso era situato tra i porti dell’Adriatico e quelli della Magna Grecia, sullo Jonio. La Via Appia divenne l’asse principale di comunicazione della Regio II con Roma.
L’acqua e il cibo divennero beni necessari, strategici per la crescita della città, che poteva contare sulla ricchezza derivante dalla pastorizia ma soprattutto dai prodotti dell’agricoltura e le manifatture connesse alle attività primarie.
L’acquedotto romano di Venosa, oggi poco conosciuto per i suoi aspetti tecnici complessi, dissetò per quasi due millenni la città, fino al 1914, allorquando il vecchio acquedotto romano e poi medievale, ormai fatiscente, venne definitivamente abbandonato in occasione dell’inaugurazione del canale principale del grande Acquedotto Pugliese.
L’acquedotto seppe aggregare intorno alla colonia e municipio romano popoli e culture diverse, in origine in conflitto tra loro, proprio attribuendo Valore sociale pubblico all’acqua.
Nell’epoca attuale, caratterizzata dai cambiamenti climatici causati dall’uomo, sapremo preservare l’acqua anche per il futuro?